Con l’AI (Artificial Intelligence) efficienza, efficacia e sostenibilità
La trasformazione tecnologica e digitale ci sta investendo come un’onda, infatti è di pochi giorni fa la notizia che in Cina è stato presentato il primo giornalista televisivo mosso da intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale quindi, prende piede e si espande in ogni settore, anche e ovviamente, nel settore della sperimentazione e della ricerca clinica.
Innanzitutto verrebbe da chiedersi cosa ne pensano i cittadini italiani dell’Intelligenza artificiale? La conoscono? Ne conoscono le applicazioni? Gli italiani sanno che anche in campo medico l’AI si sta sviluppando?
A questo proposito, recentemente, è stata presentata una ricerca, in occasione del convegno CX2020 sulla customer experience organizzato da CMI Customer Management Insights, la community della Customer Experience, presso la sede romana di Cedat 85, azienda specializzata nella fornitura dei contenuti provenienti dal parlato. Tale ricerca risulta essere molto interessante, poiché fotografa quello che è il sentiment generale riguardo al tema AI e le sue applicazioni in alcuni settori. La ricerca, basata su osservazioni della rete (social e web) mette in luce un atteggiamento degli italiani (1 su 2) piuttosto neutro sul tema in generale. Se invece, si scende nel dettaglio degli ambiti di applicazione, il lavoro è il tema che raccoglie le maggiori perplessità: infatti, il sentiment espresso dal 44% degli intervistati risulta essere negativo, con particolare preoccupazione nei confronti dei posti di lavoro che saranno messi a rischio dall’AI e dalla robotica. Le opinioni positive (14%) sono orientate invece verso il miglioramento della qualità del lavoro e sulla nascita di nuove professionalità. Il restante 42% ha un atteggiamento neutrale. Una maggiore positività è stata riscontrata in ambito salute. Il 71% degli italiani ha infatti, un atteggiamento di fiducia e speranza nei benefici della tecnologia in ambito medico, della salute e del benessere in generale. Il tema etico, invece, viene percepito come molto complesso ed emerge la volontà di formarsi un’opinione e capire le applicazioni future dell’IA prima di esprimere un giudizio. L’atteggiamento degli italiani sui temi dell’etica è infatti, neutrale (92%).
Non manca chi esprime fiducia (6%) nell’impossibilità dell’uomo di essere superato dalla macchina e chi invece esprime paura (2%).
In buona sostanza, argomenti come Big Data e Intelligenza Artificiale, sono ancora poco conosciuti e ancora si fa fatica a capirne le applicazioni, e conseguentemente i rischi che questi strumenti della rivoluzione tecnologica in atto, si portano appresso ma altrettante sono le potenzialità di cui, alcune sono accennate in seguito.
Intanto, do una definizione di intelligenza artificiale che ho tratto dal Convegno Intelligenza artificiale e Ricerca Clinica che si è svolto al Politecnico di Milano, al quale ho partecipato a metà settembre.
La migliore definizione di AI è quindi: un insieme di strumenti costituiti da algoritmi in grado di estrarre modelli di informazioni utili, a partire dai dati acquisiti e costruire su di essi possibili strategie decisionali che possano assistere il professionista (nel nostro caso il medico o il ricercatore). In sintesi, l’AI aiuta a risolvere problemi complessi simulando l’intelligenza umana.
Quali sono le aree di intervento dell’AI nella ricerca clinica e farmacologica? Una breve sintesi dei passaggi fondamentali del Convegno:
La ricchezza dei dati in ambito medico e clinico sta aumentando esponenzialmente, se solo consideriamo i Data Base, i Fascicoli Sanitari Elettronici e le Cartelle Cliniche Elettroniche potremmo affermare che la medicina è entrata di fatto nel mondo del ‘big data’. Una mole di dati talmente complessi e di difficile analisi che solo strumenti sofisticati come il machine learning, il deep learning e l’Intelligenza Artificiale in generale, possono venire in aiuto.
Nello specifico, l’AI migliora i processi per efficienza e efficacia in ricerca clinica: si stima in alcuni casi, i tempi si riducano di tre quarti. Aiuta inoltre, nella raccolta e nell’interpretazione dei dati nei Trial, anche e soprattutto quelli che vengono definiti non strutturati (80%), (i dati non strutturati sono ad esempio i pdf) inoltre, può aiutare nel creare correlazioni e trovare le relazioni di causa-effetto tra patologie e farmaci. Oltre il supporto nella selezione e nel reclutamento di pazienti del trial, nell’interfacciarsi con le cartelle cliniche elettroniche, con i dispositivi weareble e ultimo ma molto importante, l’analisi e il monitoraggio dei pazienti per una migliore aderenza alle cure.
All’Ingegner Roberto Fantino, relatore del convegno al Politecnico di Milano, Presidente di Nat_Style, e con un’esperienza trentennale nel data technology ho posto alcune domande:
Ingegner Fantino a cosa serve secondo la sua esperienza l’AI applicata alla ricerca clinica?
“Nella ricerca clinica, esordisce Roberto Fantino, oggetto di questo convegno, l’utilizzo principale dell’intelligenza artificiale è la capacità di poter correlare informazioni. È questa la cosa più importante, perché tutta l’evoluzione scientifica avviene dall’osservazione di come un certo fenomeno è collegato a un altro. Il poter estrarre correlazioni e scoprire che un certo fenomeno è collegato a qualche cosa.”
“Il supporto enorme dell’intelligenza artificiale nella ricerca clinica continua l’Ing. Fantino, è la capacità di estrarre correlazioni e scoprire, ad esempio, che nella ricerca l’utilizzo di una sostanza (o molecola) genera una certa reazione. Dell’AI ne posso quindi disporre dal punto di vista tecnico, o dal punto di vista organizzativo”. “C’è poi il processo di gestione, sottolinea l’Ing. Fantino, ovvero il sistema dell’erogazione del servizio sanitario: oggi abbiamo delle strutture molto articolate e il primo contatto è il medico di medicina generale.” “Il grandissimo vantaggio della tecnologia, spiega Fantino, fa sì che il mio medico generalista possa, di fatto attestare una capacità diagnostica di gran lunga superiore alla sua competenza. Nel momento in cui è inserito in un sistema di un’organizzazione integrata, un medico di medicina generale può accedere ad un ‘know how’ che gli permette di formulare, in un nanosecondo, diagnosi che trascendono le competenze della sua specializzazione.”
“Lo stesso processo, rimarca l’Ingegnere, riduce il rischio di diagnosi sbagliate e diventa inoltre, un filtro per le inefficienze: ad esempio, si evita così che il paziente non sia inviato ad un pronto soccorso per un banale ‘mal di testa’”.
Con questo si entra anche nella dimensione della sostenibilità economica del sistema…
“Infatti, conclude Roberto Fantino, così facendo miglioro la qualità della mia prestazione e metto sotto controllo, l’efficacia della terapia, i costi della terapia e magari con sistemi di telemedicina, monitoro anche l’aderenza della terapia anche coinvolgendo il paziente.”
Silvia Pogliaghi
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