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Spreco zero

di Maria Lucia Caspani

Presentato a Milano, presso la rappresentanza della Commissione Europea, l’Osservatorio nazionale sugli sprechi, operativo per volontà di Last Minute Market, spin off accademico dell’Università di Bologna. Il progetto conferma che gli sprechi alimentari domestici, pur in diminuzione negli ultimi due anni, complice la crisi, si attesta sul 2,4% del PIL.

Significa che il 48% della popolazione, circa un cittadino su quattro, butta tutto nei rifiuti piuttosto che riciclare o donare alimenti avanzati o non utilizzati. Solo il 4% dichiara di regalare i prodotti non utilizzati e il 20% riutilizza gli avanzi per nutrire gli animali domestici oppure pratica il classico compostaggio.

In soldoni, finiscono in pattumiera tra i quattro e gli otto euro a settimana, 15 miliardi all’anno.

Ci chiediamo dunque perchè si butta via il cibo? Per cattiva conservazione o superamento data di scadenza sono le principali cause per i prodotti confezionati; eccesso/abbondanza e poca volontà di riutilizzo degli avanzi per i cibi già cucinati. Le 44 domande dell’indagine evidenziano altresì che spreca di più chi consuma carne rossa, pollame e snack e chi risiede nelle regioni mediterranee.

Waste Watchers, definizione che riporta ad un noto programma dimagrante, propone “Spreco zero” da diffondere con pubblicità capillari per arrivare al “dimagrimento” del bidone della spazzatura.
Si accresce il valore delle care massaie che non buttavano via niente, facevano la spesa ogni giorno e solo per lo stretto necessario e cucinavano creativamente con i vari avanzi rispetto alle tendenze attuali che vanno in tutt’altra direzione.

Appare pertanto scontata un’evidente e sollecita inversione di rotta della gestione casalinga, sia per risparmiare che per considerare i poveri che non hanno il minimo vitale e soffrono la fame.

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