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EVENTI ECOSOSTENIBILI A BIZTRAVEL FORUM

di Maria Lucia Caspani

BIZTRAVEL FORUM: GLI EVENTI E LA SOSTENIBILITÀ SECONDO LE ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI IN ITALIA
Se n’è parlato in un convegno durante la recente edizione di Biztravel Forum. Sul palco
i presidenti dei Capitoli italiani di MPI, Site e GMIC.
Nell’ambito di Biztravel Forum, la manifestazione sui servizi di mobilità e turismo per
aziende promossa da Uvet American Express e tenutasi il 6–7 novembre presso
Fieramilanocity, si è tenuto un convegno intitolato Eventi ecosostenibili: il valore
aggiunto degli investimenti per le imprese, cui hanno partecipato i Presidenti dei tre
Capitoli italiani delle maggiori associazioni internazionali della meeting industry:
Gaetano Sciatà CMP (MPI), Grazia Sapigni (Site) e Annamaria Ruffini CMP
(GMIC). Moderava Vittore Castellazzi, imprenditore e manager.
La constatazione alla base dell’evento è che i timori delle aziende quando si parla di
sostenibilità sono ancora molti. C’è il pregiudizio che l’organizzazione di un evento
sostenibile implichi costi maggiori per la presunta necessità di prodotti di nicchia e
strutture costose. In alcuni casi c’è anche la difficoltà a identificare obiettivi adeguati
perché, non avendo chiaro che cosa occorre, non ci si dota di sistemi di controllo e
reporting. A volte, infine, manca la comprensione da parte del management dei reali
vantaggi di una politica di sostenibilità aziendale. Organizzare un evento sostenibile
vuol dire saper definire una strategia per ottenere con il minor impatto ambientale il
miglior risultato dal punto di vista emozionale, economico e di crescita della brand
awareness.
Inquadramento storico
«Il tema del turismo green fu affrontato per la prima volta dall’articolo 18 della
Dichiarazione di Manila (1980)», ha esordito Annamaria Ruffini. «Esso definisce le
risorse turistiche come patrimonio dell’intera umanità e attribuisce alle singole comunità
nazionali e alla comunità internazionale il compito di conservarle. Questi concetti
furono ripresi e ampliati dal Documento di Acapulco del 1982, dal Tourism Bill of
Rights del 1985, dal Rapporto Brundtland del 1987, dall’Agenda 21 del 1992 e dalla
Carta di Lanzarote del 1995. Nel mondo dei meeting il green approda definitivamente
nel 2006, con la nascita nell’Oregon (Usa) del Green Meeting Industry Council, la
prima e tuttora unica associazione dedicata alla diffusione e al sostegno delle best
practice nell’organizzazione di eventi eco-sostenibili, con numerosi Capitoli nel mondo
e anche in Europa, dove gli apripista siamo stati noi italiani fondando, nel 2010, il primo
capitolo al di fuori degli Stati Uniti. Ma ormai l’eco-sostenibilità è vista proprio come
una strategia, non solo nel nostro settore ma anche al di fuori: nel 2009, intervenendo al
convegno Dal dire al fare, l’attuale premier Mario Monti disse che la cosa più
importante per gli economisti sarà poter dare il Roi su tutto ciò che è sostenibilità. Tanto
più che – tornando sullo specifico – i green meeting non costano necessariamente di più.
Scegliere un albergo eco-sostenibile non costa di più. Il cibo a “km zero”, che per noi
italiani è letteralmente a “zero chilometri”, non costa di più. I documenti e le brochure
digitali rispetto ai cartacei sono anch’essi un ben risparmio. E inoltre c’è il grande
valore della comunicazione. Per un’azienda trovare qualcosa di valido da comunicare
costa un’enormità: dopo un evento green invece può semplicemente dire di aver
risparmiato una certa cifra in emissioni di anidride carbonica, e ciò non è poco in
termini d’immagine».
Il futuro
«A livello predittivo, la questione va inquadrata nel medio-lungo termine», ha
proseguito Sciatà. «Il pianeta ha bisogno di sostenibilità. Per le aziende però il primo
problema è investire, allora di volta in volta devono chiedersi se sbarcare il lunario
(dunque ridurre l’investimento) o guardare al futuro, immaginare l’andamento di una
domanda che vorrà sempre più eco-sostenibilità, e investire di conseguenza. Negli Usa è
stata commissionata una ricerca, finanziata da MPI Foundation, che incoraggia a
guardare lontano. Si chiama The value of CSR (Corporate Social Responsibility) e dice,
fra l’altro, che il 50% delle industrie degli Stati Uniti vuole fornitori che abbiano
procedure formalizzate di eco-sostenibilità e di CSR, dopodichè in alcuni paesi come
Usa e India il 30% vuole che queste procedure siano formalizzate e certificate da parte
di enti terzi. Chi non comincia a fare piccoli sforzi anche economici di implementazione
in azienda potrebbe restare fuori da un treno che sta passando e che fra dieci anni sarà
un must. I costi non sono un problema se prima si considera qual è l’obiettivo che si
vuole raggiungere con l’investimento».
La Corporate Social Responsibility
Ha quindi concluso Grazia Sapigni. «Io sono una forte sostenitrice della RSI
(Responsabilità sociale d’impresa), accettata ufficialmente dall’Unione europea nel
2001 come CSR e importata con questo nome in Italia nel 2004. RSI altro non significa
che governance di un’azienda tenendo conto degli stakeholder, cioè di quanti vi
gravitano intorno. Nel 2001 la Ue dice che è un’opportunità. Si è creato un tavolo dei
valori in Ita molto forte. È definita ufficialmente dalla norma Iso 26000, che
approfondisce anche le questioni cruciali che devono essere affrontate in tema di
responsabilità sociale e dice come essa vada integrata nelle attività complessive di
un’organizzazione. La novità di quest’anno è che la Ue, la quale nel 2001 si limitava a
segnalare la RSI come “opportunità”, la raccomanda fortemente.
Personalmente credo molto nell’eticità, e non a caso il primo seminario che abbiamo
tenuto come Site durante il mio anno di presidenza è stato proprio sulla correttezza delle
gare. Una volta agli organizzatori di eventi si chiedeva di stupire. Oggi io sono convinta
che si riesce a stupire solo quando al termine dell’evento ci si porta a casa un valore, un
valore comunicato e vissuto».

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